Archivi categoria: Introduzioni

CON/SENZA – Introduzione alle fotografie di Mattia Marinolli

Tempo addietro vidi a Bangkok una mostra di un fotografo che lavorò per anni per l’Urss. La mostra consisteva in una lunga serie di negativi di 35mm.
Nell’Urss ogni rullino era numerato e così ogni scatto, per “ovvie” leggi portate dall’ossessione del controllo. Per un’intera carriera il fotografo collezionò il primo e l’ultimo negativo di ogni suo rullino scattato, salvandolo così dalla catalogazione e da un’eventuale censura. Un lavoro minuzioso che il curatore decise di non presentare stampato, ma in originale. Le teche si sviluppavano per alcuni metri e i fruitori avevano il naso incollato al vetro per scorgere i dettagli di quel lavoro certosino, per trovare qualche foto sensazionale.Da quel momento cambiai la prospettiva sull’immagine.
Stampare in piccolo formato vuol dire costringere lo spettatore ad avvicinarsi, a concentrarsi e a guardare. Da qui la mia ricerca con la fotografia istantanea. Piccoli monotipi dal sapore un po’ rétro che attraverso la loro resa cromatica tanto imperfetta quanto casuale, assolvono la funzione sia per il fotografo che per il fruitore di osservare il mondo più da vicino.
Nascono così le istantanee che accompagnano i primi due capitoli di questo volume.

Quando si parla di fotografia si parla inevitabilmente di “con” e “senza”. L’immagine fotografica dà una parvenza di realtà, ma è davvero reale ciò che vediamo? La fotografia nasce da una scelta, cosa si decide di tenere all’interno di una determinata inquadratura e cosa no. Cosa voglio comunicare e cosa non voglio. Fotografare vuol dire mentire, ingannare lo spettatore per portarlo sul piano di comunicazione dell’occhio del fotografo.

Mattia Marinolli

CON/SENZA – Introduzione di Carlo Grande

C’è un riflesso buio anche nelle giornate più luminose, e una scintilla di luce persino nelle notti più cupe. Forse non riusciamo ad accorgercene, più spesso ad accettarlo, in questa cultura del troppo e del troppo poco, degli eccessi e delle sottrazioni. Ma le antinomie fanno parte delle nostre esistenze, delle nostre vite. Siamo sempre in bilico tra gli opposti, sul crinale delle alternative e delle contraddizioni.

Queste pagine celebrano i contrasti con speranza, per lo più in versi ma anche in racconti e prose: prevale la bellezza della condivisione, la completezza dell’appartenersi, la meraviglia di scoprire se stessi attraverso l’energia degli altri e dell’amore (anche dell’Altrove che si incontra nel viaggiare, perché no), quando l’altro sa diventare prisma, sa creare arcobaleni.

Alcune frasi mi hanno ricordato una poesia di Montale, nella sezione “Xenia” della raccolta Satura, dedicata alla moglie: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino”, perché c’è anche la tristezza dell’assenza, la pena – che alcune composizioni richiamano – di quando vengono offese le donne e la femminilità, anche se la maggior parte degli scritti celebra l’energia dell’amore.

Il “senza” è spesso privazione, certo, è assenza, l’abbandono, addio che sconforta, ma chi dice che non possa essere un valore? Ci sono dei “senza” positivi, zen, che alleggeriscono le nostre vite delle cose inutili, delle persone insincere e moleste, dei carichi di lavoro non necessari, degli oggetti inutili. Così come ci sono vuoti e pieni nella musica e in una città, e nella Storia, anche personale, di un quartiere: segnalano un’impresa che si crea, resiste per un secolo e poi se ne va, ma dai suoi vuoti rinasce in forme nuove e giovani, mostrando come il futuro sappia germogliare da un passato lontano.

“Con e senza” sono la luce e l’ombra, sono le due facce della realtà, sono valori, energie complementari e differenti. “Con” è la presenza, ma potrebbe anche essere della noia, dell’ansia: quante volte le incontriamo nelle nostre giornate troppo sazie, in letti e divani di spine?

“Con” potrebbe essere il troppo, il consumismo, l’era dei “clic” e delle vetrine scintillanti, del cartellino e del prezzo su tante cose che invece hanno poco valore.

“With or without you”, “con e senza di te”, potrebbe significare incertezza, indecisione o nichilismo, il “fare senza” e la mancanza di valori, la vuota oscenità del cratere di una bomba dove prima c’erano la vita e palazzi; sono le contraddizioni adagiate vicino a noi, ogni giorno, che accarezziamo come cani e gatti, comportandoci a volte in modo molto più irrazionale e contraddittorio di quanto vorremmo credere o ammettere.

Ci sono “senza” che semplicemente si ribellano alla contemporanea metastasi del desiderio, che in questo “tutto e niente”, consigliano ogni tanto di deporre la volontà e l’ego, di apprezzare il profumo di rosaspina, convincersi di non aver nulla da vincere e nulla da perdere e vivere sul confine della felicità, senza ingordigia e malanimo, con altruismo e speranza.

Carlo Grande

RESPIRO/LUCE – Introduzione di Mariapia Valediano

“Luce respiro”

“Luce e respiro sono gemelli

Non puoi vivere senza quelli”. (Samuel, 9 anni)

È semplice semplice e il verso di un bambino ce lo dice come una verità da portarci appresso mentre leggiamo questa raccolta di liberissime parole che arrivano dopo aver attraversato un anno in cui il respiro è stato il tema dei temi, la notizia, assoluto che ha stritolato i nostri pensieri e ci ha fatto ballare una taranta feroce dentro una coorte di parole che abbiamo imparato a usare, impensata area semantica da esplorare: saturazione, polmonite, alveolite, respiratore, emogas. Il coronavirus, sì, e in sovrappiù, negli stessi mesi la cronaca nerissima di una morte vista, rivista, in diretta, è sempre in diretta la morte se è vera, e poi giudicata, con scandalo, con dolore: “Non respiro. Non respiro. Non respiro”. Per venti volte ripetute, le parole di George Floyd, che forse, speriamo, cambieranno un pezzetto di mondo, come ha sorprendentemente detto la sua giovanissima figlia Gianna, 6 anni.

“Luce e respiro erano due fratelli” (Elena, 9 anni).

Il respiro e la luce. Così si nasce. Ci sono tanti commoventi personalissimi racconti di nascite in queste pagine. E racconti di paure, la luce che si spegne, per un momento lunghissimo e poi si riaccende, oppure altre volte si è spenta e basta.

Sono finestre. Piccole finestre sui nostri segreti di persone che hanno sfiorato la fine del mondo. Almeno del mondo conosciuto. È un privilegio posare lo sguardo, senza rubare, perché le parole si offrono e ci portano dentro tutte le vite. Sorelle anche le vite, nel loro desiderio di essere piene e infinite.

La luce e il respiro incontrano i nostri spazi. La natura sta di fronte alla città, al manufatto, all’ordigno dell’uomo come la promessa di fronte al tradimento. C’è qui dentro la consapevolezza di un mondo che non va. La pandemia ha mostrato che quel che serve a salvare la vita, a ridare la luce, è il bene pubblico, la collettività, l’essere responsabili gli uni verso gli altri. La bellezza. Le nostre città, gabbiette attrezzate, non sono per il respiro, l’aria fa male, e nemmeno per la luce, i cortili sono chiusi, gli appartamenti sono stretti, il minimo per dormire, neanche lo spazio per respirare. Appunto.

E c’è una consapevolezza nuova in queste pagine. Belle. Personalissime. Criptiche. Segrete. Trasparenti, quelle dei bambini sono trasparenti.

E poi c’è anche il respiro consapevole, quello che serve ad attraversare un bosco, a scalare una cima, esercizio di cura, addestramento, un bene che possiamo coltivare e così, poco alla volta, ci porta su, a vedere altre luci, il panorama che abbaglia lo sguardo, allarga lo spirito, regala una gioia nuova.

Quanta vita nella parola. Quanto respiro nel raccontare.

È naturale respirare, non ci si pensa, solo quando manca, il respiro si fa il signore del mondo. Senza il respiro non c’è niente. Niente luce. I bambini non vengono alla luce. I fiori non vengono alla luce.

“I fiori amano la luce e se non la vedono muoiono

Io voglio che respirino perché mi piace il loro profumo” (Enea, 9 anni)

Mariapia Veladiano

UNICO/UNICA – Introduzione di Fabio Geda

Sono uniche le voci di questi racconti: testimonianza della forma mutevole della parola. E alcuni sono accompagnati da foto che creano un dialogo a suo modo unico tra testo e immagine. Ci si chiede, a volte, perché l’essere umano continui a raccontare storie. Non sono già state tutte scritte? Certo. Ma ogni volta che un uomo, una donna, un bambino, entrano in una storia con la propria sensibilità la rendono unica, diversa da tutte le altre. Se cento persone leggono lo stesso libro hanno, in realtà, letto ciascuno un libro diverso, perché lo hanno abitato con il proprio tempo, con la propria esperienza, con la propria vita, e quindi lo hanno trasformato. Mai smettere di utilizzare le parole per indagare il vivente. Mai smettere di accumulare parole, da usare come chiavi per aprire le porte alla complessità.

Fabio